Nell’ultimo articolo della sezione “Benessere a 360°”, abbiamo iniziato a parlare di emozioni ed alimentazione.

Oggi andremo ad approfondire la tematica, indagando le varie sfaccettature della fame emotiva, come prevenirla dal punto di vista psicologico e nutrizionale grazie alla collaborazione della nostra dietista dott.ssa Alessia Campopiano.

 Fame emotiva:

Quanti di noi hanno svuotato il frigorifero in un momento difficile?
Quanto spesso ci è capitato di perdere il controllo sull’istinto della fame?

Partiamo col dire che la fame emotiva non colpisce solo gli adulti, ma anche bambini e adolescenti in numero sempre più elevato: può capitare che essi mettano in atto condotte di abbuffate con svariati cibi oppure mostrino evitamento verso altri, talvolta arrivando a compensare attraverso il vomito o esercizio fisico eccessivo.

Perché succede tutto ciò? Chi sono i soggetti più a rischio?

Spesso si tratta di bambini e ragazzi che faticano ad esprimere i propri vissuti a parole, non riescono a comunicare le proprie emozioni e ripiegano con atteggiamenti controllanti sul cibo e sul proprio corpo. Gestiscono ansia (scolastica, per i rapporti con i pari), tristezza e rabbia agendo sul cibo.

Svariati studi confermano che per bambini e adolescenti obesi le capacità intellettive possano risultare nella norma ma non totalmente o agevolmente applicate, tendono quindi ad  assumere un atteggiamento passivo davanti agli stimoli dell’ambiente , con una tolleranza alla frustrazione da fallimento pari a zero.

Il comportamento dei genitori (e più in generale della famiglia) offre un modello di comportamento -alimentare e non- al bambino.

Il bambino replica le abitudini alimentari familiari tanto quanto il tipo di comunicazione e interazione psicologica che i genitori hanno con i propri figli.

La risposta -soprattutto materna- alla richiesta di cibo e come essa viene gestita pone le basi alle prime abilità di regolazione del bambino.

Soffocare le proprie emozione in una abbuffata succede. Capita, pazienza, fa parte dell’essere umani.

Cosa fare dopo una abbuffata?

Niente. O meglio, la stessa cosa che faremmo in un giorno normale: vivere in modo normale. Mangiare in modo normale, sano e regolare: niente detox, niente digiuni, niente bevande dai nomi stravaganti.

L’abbuffata sporadica non è un problema.

Le abbuffate frequenti e persistenti sono un problema.

Recenti studi scientifici dimostrano che molto spesso un adulto affetto da disturbo del comportamento alimentare sia stato un bambino che ha in qualche modo appreso il comportamento disfunzionale in età pediatrica.

Il bambino è un piccolo essere umano in crescita: tutto ciò che apprende nella sua esperienza permane nella sua esistenza.

Per questa ragione, possiamo dire che l’approccio nutrizionale sia lungimirante: la prevenzione (quando ancora non c’è una patologia in atto) nel bambino è determinante per la salute dell’adulto.

Avete presente la pratica giapponese del Kintsugi? Essa usa l’oro liquido per riparare gli oggetti rotti, rendendoli ancora più preziosi e riempiendo quel vuoto con un punto di valore.

Allo stesso modo funzionano le relazioni, ma in modo disfunzionale:  molti genitori compensano le proprie assenze concedendo qualsiasi “ vizio” tramite il cibo. 

Gli alimenti divengono un “riempimento”, un vuoto in modalità dannosa, un tentativo di manifestare affetto e compiacenza, cercando di rendere prezioso quel momento insieme dicendo “si” ad ogni richiesta del bambino.

Errando.

Il bambino impara a nutrirsi sin dall’età fetale, nel grembo materno.

Dopo la nascita, la nutrizione è incentivata dalla necessità di contatto con la madre e stimolata dal contemporaneo sviluppo del gusto.

I piccoli scoprono il mondo con la bocca.
Toccano, assaggiano, provano, gustano… anche gli oggetti meno adatti!
“…no, quello no!

La prima esperienza col cibo è quella diretta.

Questa viene poi integrata dall’emulazione degli altri bambini (peers) e delle figure di riferimento (genitori e caregivers).

Come diventare un buon modello da seguire?

1) l’emulazione: mostrare, non imporre

Se vogliamo insegnare a nostro figlio un buon rapporto con il cibo, dobbiamo mostrare di avere un buon rapporto con il cibo. Come dico sempre i genitori, gli adulti, sono l’esempio, sono lo specchio in cui il bambino si riflette per cercare un modello da interiorizzare e far proprio per imparare cose nuove e ciò vale anche per il cibo.

Siamo il loro punto di riferimento. Ci imitano.

Qualora un bambino noti una delle figure di riferimento “dalla propria parte” nel “non mangiare qualcosa” (un esempio? Le verdure) si sentirà legittimato a “non mangiarlo perché tanto lo fa anche lo zio/la mamma/il papà/il nonno”.

Quindi il modo migliore per far mangiare bene une bambino è mangiare bene a nostra volta.
Essere un punto di riferimento significa scendere a compromessi con se stessi… ma anche con tutti gli altri adulti che orbitano attorno al nostro bambino!

Vi capiterà, che vostro figlio mangi la pasta e non i broccoli.
Vi capiterà, che vostro figlio mangi il dolce ma non la frutta.

Non fa niente.

Mostratevi felici di mangiare i broccoli avanzati o la frutta che non è stata mangiata.

mmm, che buono” “non sai cosa ti perdi“.

Fategli assaporare con le vostre parole ciò che non sta gustando con la bocca, e “quel coso verde” diverrà fonte di curiosità: non riuscirà a non chiedersi cosa ci sia di tanto buono in quel broccoletto.

Prima o poi vi chiederà un assaggio.

Mostratevi mooolto dispiaciuti di offrirgliene un po’.

A voi, dopotutto, piaceva così tanto.

 2) Non premiare o punire col cibo.

vai a letto senza cena” – Tipica frase da film degli anni ’80.

se fai il bravo ti compro il gelato“? – Tipica frase del genitore di oggi.

Insegnare al bambino che se fa il bravo ha un cibo-premio significa attivare un meccanismo associativo tra cibo ed emozioni che il bimbo ancora non riconosce.

Il condizionamento associativo cibo-premio si radicherà nel piccolo e lo accompagnerà nell’età adulta, ponendo le radici per un disturbo del comportamento alimentare futuro. 

Premio e cibo non devono mai coincidere.

3)  come faccio con i dolci?

Ai bambini piace il dolce.

Alla nascita, siamo tutti fisiologicamente predisposti al gradimento del gusto dolce.

Ma che fare coi piccoli? Noi proviamo in ogni modo a evitare di dargliene, ma poi gli altri bambini, le altre mamme…

Ciò che possiamo fare è non tenere alcuna merendina in casa, riservando al dolce lo spazio che merita: un gelato con gli amici, la torta dalla nonna…

Esattamente come per l’adulto, il dolce nell’alimentazione dei bambini non deve essere né l’amico né il nemico

Il dolce deve essere l’alimento mangiato in un’occasione che non deve essere necessariamente più o meno speciale delle altre, ma deve solo adattarsi al contesto più ampio dell’intera alimentazione settimanale, di tutti i nostri fabbisogni.

Non incentiviamo né demonizziamo il consumo di dolci nei bambini.

4) non deve essere per forza tutto “sano”

Viviamo in una società in cui le fake news in alimentazione sono il pane quotidiano. Abbiamo paura a mangiare un alimento “sporco” ma allo stesso modo sentiamo che se poi mangeremo un alimento “sano” sarà tutto compensato.

Questo ragionamento è sbagliato e pericoloso tanto per gli adulti quanto (e soprattutto) per i bambini.

Inoltre, non funzionerà convincere il bimbo dicendogli che “questo fa bene“: ci hanno provato, gli studi scientifici, a dimostrare che spiegare a un bambino l’effetto benefico di un alimento potesse stimolarlo a mangiarlo.

No. Non funziona. Non gliene importa, ed è giusto così. È troppo presto.

Per i bambini il cibo è solo cibo e così deve essere.

5) Al bando la televisione, viva la condivisione

Una branca della ricerca scientifica da diverso tempo è concentrata sul mindful eating.
Mangiare senza distrazioni, concentrati su gusto e sapore di ogni chicco di riso, di ogni alimento.
Mangiare di fronte alla televisione porta adulti e bambini a perdere il controllo sulla quantità (e qualità) di cibo ingerita. 

E così abbiamo bambini che mangiano troppo o non mangiano proprio perché troppo concentrati sul grande schermo.

Oltre alla componente nutrizionale, ricordiamoci che la cena è il momento di riunione familiare: sfruttarla per chiacchierare e per “vivere il figlio finché è piccolo” è l’atto d’amore più puro che possiate avere nei suoi e nei vostri confronti.

Per la stessa ragione, non offrite cibo al piccolo mentre gioca, sarà distratto.

Il gioco è uno strumento fenomenale per incrementare l’attività fisica nei bambini (oggi sempre più sedentari: maledetti videogiochi) e un ottimo strumento educativo (fateli giocare, fateli giocare tanto e fateli giocare bene!), non sfruttate proprio quel magico momento per farli mangiare.

6) Non mettete fretta.

I bambini hanno i loro tempi che possono non coincidere coi nostri.

Spesso non finiscono tutto il piatto nei vostri tempi, ma non preoccupatevi. I bimbi possono richiedere cibo anche mezz’ora dopo: siete voi a valutare se abbiano mangiato abbastanza o meno. Se non ne avete idea, allora può esservi d’aiuto l’intervento di un professionista della nutrizione.


7) Coinvolgetelo anche nella scelta del pasto

Proponete. I bambini imparano scegliendo tra alcune opzioni, che riguardi il gioco o cosa mangiare.

Adesso alcuni di voi penseranno: “ma se scegliesse la scelta peggiore?”. Ve la rigiro: e se non ci fosse la scelta peggiore? Se non rientrasse tra le vostre proposte?

Proponete solo opzioni vincenti e la scelta di vostro figlio sarà vincente

 

E’ fondamentale un approccio integrato dietista- psicologo per trattare la complessità presentate, con un coinvolgimento attivo dei genitori.

I genitori devono comprendere il loro ruolo attivo, mettersi in gioco a modificare dinamiche e abitudini alimentari per una cura e prevenzione terapeutica.

 

 

Nel prossimo articolo alzeremo l’asticella e faremo un’opera a sei mani riguardante la diagnosi di tumore in una famiglia: come reagire? Come comportarsi? Cosa mangiare e cosa non mangiare?

 

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