Oggi inizia la nostra quarta tappa insieme, approfondiremo ancora di più come alcune dinamiche che avvengono in terapia sono le stesse che poi applichiamo nella nostra quotidianità.
Quali sono le paure e le difese che mettiamo in atto? Quali auto-aiuti ognuno è riuscito a darsi fino ad oggi? Che valore ha l’esperienza con il terapeuta?
Partiamo però tenendo ben presente che ognuno di noi è il risultato dell’intreccio di fattori BIO- PSICO-SOCIALI. Ovvero degli aspetti che rimangono innati e ci vengono trasmessi dai nostri genitori, dalle figure di accudimento e riferimento nella prima infanzia ( bio) + i tratti di temperamento innato che ognuno di noi possiede ( psico) + come il contesto risponde a tutte queste nostre caratteristiche, se diventa un ambiente protettivo o meno ( sociale).
Facciamo un esempio: un bimbo nasce da genitori ansiosi, sia a livello chimico di neurotrasmettitori che di atteggiamenti appresi, il bambino apprenderà che il mondo è un posto potenzialmente pericoloso, dove meglio non sperimentare molto,; ciò porterà a un possibile temperamento più vulnerabile. Se l’ambiente in cui cresce è solamente ansiogeno, diventerà un soggetto con maggiori probabilità di dimostrare e provare ansia.
Ovviamente ci sono poi dei fattori di rischio, ovvero avvenimenti che possono aumentare o diminuire la probabilità che si sviluppi o si presenti una problematica.
Tenere a mente queste nostre diverse dimensioni, ci permette di comprendere meglio le difficoltà che proviamo, ricordarci che non sono solo aspetti di noi stessi, della nostra genetica, ma anche del contesto in cui siamo inseriti, che dobbiamo ricordarci di considerare, e notare che impatto hanno su di noi.
BISOGNO SPECIFICO: DI COSA HO PAURA E COME MI DIFENDO?
Parto parlandovi di BISOGNO SPECIFICO, ovvero l’insieme delle strategie, comportamenti, che applichiamo per difenderci da una paura che proviamo; queste strategie spesso diventano disadattive. Ogni momento della nostra vita è accompagnato da bisogni differenti, da declinazioni differenti, da paure che si modificano, e con loro i bisogni specifici che possiamo presentare.
Me lo immagino un po’ come l’immagine di un muro, una corazza, che piano piano costruiamo attorno a noi, di cui stringiamo le maglie; ma a volte i muri diventano così alti, e le maglie così strette, da farci mancare il fiato. Quindi quella modalità di difesa arriva a farci sentire male, a volte a portarci un sintomo.
Il sintomo, oltre ad essere qualcosa che inevitabilmente ci porta malessere, a volte facciamo fatica a riconoscerlo per quello che è: un campanello d’allarme. Ci aiuta a vedere che quella nostra muratura di difesa, è diventata qualcosa che ci fa stare peggio, non ci aiuta più a proteggerci dalla paura che sentivamo, ma è stato il tentativo che abbiamo messo in atto per farvi fronte, che magari per tanti anni ha anche funzionato molto bene, ma che ad oggi, in una nuova fase di vita, ci fa stretto, ci fa mancare l’aria.
Possiamo non provare paura? Abbiamo già detto, per fortuna no, la paura ci accompagna e ci protegge, ma dobbiamo capire da dove nasce, cosa vi associamo di negativo su noi stessi a quella paura? Dobbiamo riconoscerti che abbiamo fatto il lavoro migliore che eravamo in grado di fare in quel momento, di provare ad usare le difese migliori che pensavamo poter attuare, abbiamo fatto del nostro meglio. Ora vediamo cosa possiamo migliorare.
Tutto ciò ci aiuterà a capire anche come ci rapportiamo ai nostri bisogni, sappiamo riconoscerli? Sappiamo prendercene cura? Torneremo su questo tema mooolto importante.
A volte bisogno specifico coincide proprio con le nostre difese, con i nostri tentativi di autoterapia di cui parleremo nel prossimo paragrafo.
AUTOTERAPIA E RISORSE PERSONALI:
“Accettare e capire che il sintomo è la forma di autoterapia per il paziente è il primo passo.
Aiutarlo a trovare una via di difesa più funzionale il secondo.
A questo punto è possibile impostare il cambiamento, non prescindendo però dalla realtà del limite” – Zapparoli
Questo ciò che la scuola di specializzazione mi ha insegnato, ricordato, tramandato.
Cos’è l’autoterapia quindi? sono tutti i modi che, chi ho di fronte, ha trovato fino a quel momento per far fronte alle difficoltà, ai momenti di crisi, agli episodi più traumatici della sua vita, ma che ad oggi non porta più benefici.
La terapia aiuta a trasformare quindi l’autoterapia da disfunzionale a nuovamente funzionale, tenendo sempre presente le differenze di ognuno, il proprio contesto, come ci siamo detti lunedì, il contesto bio-psico-sociale.
La terapia ci insegna a guardare dentro la cassetta degli attrezzi di ogni persona che arriva, vedere cosa tenere, cosa modificare, cosa non ci serve perché ci “pesa” ma non ci torna utile; inoltre permette al paziente, oltre che di riordinare i propri strumenti, prenderne coscienza, sperimentarli, di apprenderne di nuovi con la/lo psicoterapeuta.
Tutti questi nuovi e vecchi strumenti, compresi, fatti propri, diventano la cassetta degli attrezzi con cui affrontare la quotidianità, diventano le risorse di cui riusciamo a prendere coscienza, accettando che abbiamo e avremo sempre dei limiti e di fronte a quelli possiamo chiedere un aiuto.
ESPERIENZA EMOTIVO-CORRETTIVA:
Un’altra delle cose più importanti che avvengono in terapia è l’ESPERIENZA EMOTIVO-CORRETTIVA : ovvero il fatto che il paziente, possa sperimentare un nuovo tipo di modalità nello stare in relazione, nel poter comprendere e gestire le sue emozioni e prendere consapevolezza della differenza tra ora, il presente, e allora, il passato.
La relazione con la/ il proprio terapeuta, diventa una nuova sperimentazione, un’occasione per sentirsi accettati, non giudicati, compresi, normalizzati, invitati ad osservarsi, all’interno di un luogo sicuro, di una relazione in cui non abbiamo paura del giudizio, di poter ferire o essere feriti.
Spesso nelle storie che ascolto, le persone che ho di fronte non hanno avuto la possibilità di fare esperienze affettive positive, quindi la stanza della terapia, la relazione, diventa occasione per sperimentare l’accudimento, la valorizzazione, la normalizzazione, l’accoglienza, il limite, un aiuto ad autoregolarsi e contenersi, ma anche ad esprimersi.
Si arriva così a vedere quali emozioni abbiamo eliminato, non vogliamo ascoltare, quali rendiamo distruttive per noi, per le nostre relazioni, impariamo a vedere quante volte adottiamo una modalità compiacente e di “ infermierin*”.
Tante volte proprio la terapia diventa scenario dove viene messa in atto la nostra difficoltà con alcune emozioni, molto spesso con la rabbia: non riusciamo ad affermarci e diventiamo compiacenti per tutto e in tutto; oppure arriviamo a provocare, diventare aggressivi e provocatori verbalmente per vedere se l’altro ci terrà comunque vicino, ci accetterà, sopporterà.
La relazione che si viene qui a creare, diventa un mix tra la funziona materne e paterna, che la / lo psicoterapeuta mette in gioco con chi ha di fronte, in base al suo bisogno: di essere rassicurato, di comprensione, costanza, sostegno, limite, spinta ad emanciparsi, di prendere coscienza dei propri bisogni e provare ad affrontare le proprie paure.
Nella relazione impariamo che possiamo modificare le nostre corazze, possiamo sperimentarsi in modo differenze rispetto le occasioni passate, possiamo ricevere risposte differenti, possiamo sentirci differenti.
TEMPO E SILENZIO IN TERAPIA:
“ Lascia tempo…. tollera il silenzio”
Questa frase me la son sentita dire o comunicare a gesti, con una mano che mi toccava il braccio o mi faceva segno di aspettare… Il mio tutor mi ha sempre insegnato l’importanza del silenzio, di lasciare il tempo.
Questa del tempo non è una questione facile, durante le supervisioni a scuola di specializzazione, spesso mi portavano a ragionare sul perché di quell intervento, in quel preciso momento; perché aveva funzionato o perché non era stato colto dal paziente.
Il timing… saper aspettare e intervenire al momento giusto, saper tollerare che se anche pensiamo di aver compreso delle cose, chi è di fronte a noi ha magari più bisogno di tempo per poterle guardare.
Quando sei all’inizio hai l’ansia da prestazione, vuoi aiutare, vuoi sentirti utile, ti fai “ tirare dentro” dalle sollecitazioni di chi è di fronte a te e non sta bene e ti dice “ ma io sto ancora male”. Così ti iper attivi, e li rischi di far delle scemenze.
Tollerare che per i cambiamenti ci vuole tempo è la prima cosa che si impara in terapia, con calma. Ed è fondamentale che ne comprendiamo in primis L importanza noi psy. È come prendersi cura di un giardino, ci vuole tempo, pazienza, cura, amore, così il nostro giardino ( interiore in questo caso), potrà trasformarsi e mostrare fiori bellissimi.
A volte in questo viaggio si sta in silenzio, in due. È un silenzio in realtà carico di parole, di significati, di perché. È difficile tollerare il silenzio, non ne siamo abituati, a volte ci spaventa, abbiamo paura di sentirci i nostri pensieri più profondi.
La terapia accompagna anche a dar valore a questo. Insieme, in silenzio, con però mille emozioni, sensazioni, pensieri che girano nell’aria. A volte il silenzio è il dono più bello che possiamo regalare, che dice: sono qui, con te, ti ho ascoltato, ho percepito la tua fatica, sto qui con te in tutto ciò.
In silenzio ammiriamo poi fiori bellissimi del nostro giardino, diamoci il tempo di prendercene cura.
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