psicologo Archivi - Anna Lisa Bertoletti https://www.annalisabertolettipsicologa.com/tag/psicologo/ Dott.ssa Anna Lisa Bertoletti, Psicologa - Psicoterapeuta Fri, 15 Sep 2023 07:27:59 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.annalisabertolettipsicologa.com/wp-content/uploads/2023/09/cropped-kaboompics_details-of-gold-jewelry-beautiful-woman-wearing-a-tan-silk-shirt-28098-1-scaled-1-32x32.jpg psicologo Archivi - Anna Lisa Bertoletti https://www.annalisabertolettipsicologa.com/tag/psicologo/ 32 32 In quale momento stiamo viaggiando? – 6 TAPPA Viaggio della Terapia https://www.annalisabertolettipsicologa.com/in-quale-momento-di-vita-stiamo-viaggiando-6-tappa-viaggio-della-terapia-2/ https://www.annalisabertolettipsicologa.com/in-quale-momento-di-vita-stiamo-viaggiando-6-tappa-viaggio-della-terapia-2/#respond Fri, 13 Nov 2020 11:14:00 +0000 https://www.annalisabertolettipsicologa.com/?p=2258 L'articolo In quale momento stiamo viaggiando? – 6 TAPPA Viaggio della Terapia proviene da Anna Lisa Bertoletti.

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IN QUALE FASE DEL CICLO DI VITA SIAMO?

Eccoci alla nostra ultima tappa, che ci porta a riflettere in quale momento stiamo affrontando il viaggio, in quale fase del mio ciclo di vita arrivo nel viaggio della terapia?

Il nostro sviluppo non si identifica con il tempo, ma avviene nel tempo, e nel tempo si modificano una serie di aspetti per noi fondamentali per poter crescere. A ciò, bisogno tenere conto tutti gli aspetti famigliari, sociali, biologici che influenzano il nostro sviluppo, in base al momento in cui avvengono, avranno un impatto differente su di noi e sulla nostra psiche.

Le teorie dello sviluppo in psicologia sono tante e differenti, molto dettagliate, ma per farla “ breve” il nostro sviluppo consiste in una serie di compiti evolutivi di quel determinato periodo, che ci portano a dover affrontare continua riorganizzazioni interne ed esterne, affrontare nuovi compiti, aggiornare i nostri bisogni.

Quali sono le fasi del ciclo di vita?

  • Infanzia: in questa fase poniamo le basi del nostro attaccamento, della dipendenza con le figure di accudimento, della nostra sicurezza.
  • Adolescenza: un periodo di passaggio, dove si inizia a differenziarsi dall’ambiente famigliare, non si è più bambini ma non ci si sente ancora adulti, è quindi una fase di discontinuità, dove si vive solo il presente, dove vi è un forte conflitto tra dipendenza e autonomia.
  • Tarda adolescenza: si procede con la propria individuazione, con la separazione dalle figure di riferimento, ci si apre al nuovo, si attua il distacco.
  • Età adulta: si passa ad una formazione dell’identità personale e sociale, con un timore nella stabilizzazione, nel gestire e dosare i limiti.
  • Età adulta matura: tutte le energie vengono concentrate per le nostre scelte relazionali, affettive, professionali e famigliari. Si passa a cercare di integrare un sé ideale con il sé reale.
  • Età media: siamo un po’ al giro di boa, gli anni di fronte a noi ci sembrano meno di quelli passati, si inizia a rivalutare la propria esistenza, si deve trovare un nuovo equilibrio tra illusione e delusione, far fronte ai propri fallimenti veri o presunti e far i conti con il limite più grande: il tempo.
  • Terza età: si prende consapevolezza delle realizzazioni e acquisizioni e dei propri limiti, si inizia a riflettere su ciò che lascio di me, a fare i conti con la paura della morte e trovare una difesa funzionale ad essa, una sorta di illusione di eterno.

Ovviamente, stiamo ragionando in termini SUPER riassuntivi, ma considerare in quale momento ci troviamo ci pone davanti al capire quali bisogno abbiamo, diversi da prima e differenti da domani, a fare i conti se ci sentiamo “ bloccati” in una fase precedente e perché, cosa non ci sta permettendo di proseguire il nostro viaggio? Cosa ci spaventa?

 

STILI DI ATTACCAMENTO:

Proseguiamo nel nostro viaggio della terapia… proseguiamo a ragionare nell’ottica di ciclo di vita. Parliamo di ATTACCAMENTO.

Dalla definizione di Bowlby ” ogni forma di comportamento che appare in una persona che riesce ad ottenere o a mantenere la vicinanza a un individuo preferito” . 

 Nel neonato, la relazione di cura, attenzione, fiducia e risposta ai propri bisogni, da parte di una figura di riferimento, solitamente la mamma, ma non per forza può essere solo lei, ma anche il papà o qualsiasi altra persona che svolga tale funzione. 

In base al tipo di atteggiamento del genitore il bambino riuscirà ad instaurare un attaccamento più o meno sicuro: 

  • Stile sicuro
  • Stile insicuro-evitante
  • Stile insicuro-ambivalente
  • Stile disorganizzato

Perché è così importante l’attaccamento? Perché ci permette di definire i nostri modelli operativi interni. Ovvero glischemi che permettono di leggere le relazioni, le interazioni con il mondo e poter scegliere le reazioni e comportamenti tra vari possibili, gestendo i momenti di difficoltà, di paura o insicurezza. Servono quindi a creare una BASE SICURA perché il bambino impari a sentire di poter fare affidamento e chiedere aiuto alla figura di riferimento e durante la crescita, sposare tale sicurezza all’interno di sé e poter affrontare le varie fasi di crescita in una media sicurezza e sperimentazione. Ciò viene interiorizzato e rimane anche nell’età adulta, nel sentirsi mediamente capaci e sicuri nelle proprie capacità e poter relazionarsi con gli altri e sperimentare i nuovi compiti delle varie fasi evolutive di crescita.

( Se volete approfondire trovate l’articolo completo sull’attaccamento).

ATTACCAMENTO DA ADULTI:

Venerdì abbiamo visto i tipi di attaccamento che durante l’infanzia possiamo strutturare con le nostre figure di accudimento.

Come ciò diventano schemi interiorizzati anche per le nostre relazioni da adulti.

 Mary Main, ideò l’intervista per gli adulti l’Adult Attacchement Interview, trovando gli stili di attaccamento che abbiamo:

  • Sicuro: apertura e importanza per le relazioni, l’immagine di sé e dell’altro è positiva, stabilendo una dipendenza relativa sana.
  • Distanziato: c’è una difficoltà a recuperare i ricordi del proprio passato, non viene data molta importanza ai problemi e alle relazioni, viste con atteggiamento difensivo. Le relazioni sono spesso su una base ansiosa, preoccupata. Si tende a vedersi sempre negativamente e vedere l’altro sempre positivamente, spesso portando ad un’eccessiva dipendenza vs l’altro.
  • Preoccupato: i ricordi diventano ambivalenti, spesso conflittuali. La propria immagine è positiva, ma quella dell’altro no, non si riesce a mantenere un atteggiamento di fiducia vs l’altro, si tende a una completa indipendenza, non ho bisogno di nessuno.
  • Non risolto: spesso con episodi traumatici o di abuso. L’immagine di sé e l’altro sono negative, non vi è fiducia per nessuno, nemmeno in se stessi, non c’è sicurezza; si vive nel timore di una nuova ferita. 
RAPPRESENTAZIONI GENITORIALI:

Abbiamo visto come i nostri schemi interiorizzati pongono le basi sulle nostre relazioni da adulti, allo stesso tempo diventeranno le fondamenta del ruolo genitori: che idea proiettiamo sui nostri figli in base alle nostre rappresentazioni interne?

Così alcuni aspetti della relazione genitore-bambino vissuti dal genitore stesso durante la sua infanzia, tendono a tornare nella relazione con il/la propri* figli*. Quali tipo di rappresentazioni possono esserci?

  • Integrata: considera gli aspetti positivi e negativi delle immagini significative del passato. Le immagini di sé bambini e dei genitori sono positive, ma senza negare gli aspetti negativi, di rigidità, etc .In tal modo permettiamo ai nostri figli di non essere “ caricati” delle nostre ferite infantili e delle immagini dei propri genitori, ma si riesce a vedere ed accogliere il/la propri* figli* per le sue caratteristiche reali, con un’attribuzione empatica.
  • Positiva: continua a prevalere gli affetti positivi, ma con una tendenza ad un’idealizzazione dell’immagine della propria infanzia.
  • Ambivalente: gli aspetti positivi e negativi continuano ad esser considerati, ma con uno squilibrio vs uno dei due estremi positivo o negativo. Se abbiamo avuto un genitore controllante, troppo presente, spesso non ci si è concessi una ribellione, una fase di aggressività, ma si è cercato di fare i/le brav* “e crescendo tendiamo ad identificarci con quella modalità genitoriale. Altre volte abbiamo vissuto una situazione di solitudine/ di abbandono per l’assenza dei genitori. Il rischio è spostare sui propri bambini l’immagine del bambino amato che avremmo voluto essere e del genitore super presente che avremmo voluto accanto. Ciò porta i figli a sentire un conflitto: una colpa e paura nel sentire la spinta verso l’esterno, verso l’indipendenza, si difende spesso con sintomi fobici. Ciò crea però un circolo vizioso: nostro figlio ha timoreà sintomi fobicià paura di aprirsi all’esterno senza propri genitori à io genitore vivo il senso di colpa del devo essere presente e non posso “ abbandonarlo” ( dove sotto ci lavora il pensiero/ sensazione del – come lo sono stat* io dai miei genitori) . Il senso di colpa vs i figli, diventa paura di non dare abbastanza, di non esserci e si rischia di diventare troppo permissivi, indulgenti e non dare limiti, colludendo con le paure proprie e dei propri bimbi.
  • Troppo positive: idealizzazione delle figure genitoriali, non viene ricordato nessun aspetto negativo. Questi genitori rischiano di vivere nel senso di colpa per l’aggressività provata vs i propri genitori vissuti come distanti, depressi, o con cui si era un peso e scontano la colpa facendosi tiranneggiare dal*propri*figli*, si colloca sul bambino l’immagine di un “bambino difficile”, immagine che il bambino rischia di personificare.
  • Negative: Sul bambino vengono poste immagini del passato dei genitori molto cariche di aggressività e odio, deformano in modo + o – globale l’immagine stessa del bambino. il bambino rischia di sintonizzarsi su questo ruolo con comportamenti aggressivi oppositori o gravemente inibitori .

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Di cosa abbiamo bisogno? – 5 TAPPA Viaggio della Terapia https://www.annalisabertolettipsicologa.com/di-cosa-abbiamo-bisogno-5-tappa-viaggio-della-terapia/ https://www.annalisabertolettipsicologa.com/di-cosa-abbiamo-bisogno-5-tappa-viaggio-della-terapia/#respond Sun, 01 Nov 2020 17:37:45 +0000 https://www.annalisabertolettipsicologa.com/?p=2251 L'articolo Di cosa abbiamo bisogno? – 5 TAPPA Viaggio della Terapia proviene da Anna Lisa Bertoletti.

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COSA SONO I BISOGNI? QUALI SONO I TUOI?

Cosa sono i bisogni?

Mangiare, bere, conoscere, dormire, sono questi ?

 I bisogni sono le nostre necessità, è impossibile non avere nessuna necessità, le abbiamo tutti, a volte fingiamo di non sentirle, di non volerle e proviamo a non ascoltarle ma ci sono.

 I bisogni li sentiamo dentro, ci portano ad attivarci e cercare come soddisfare quel bisogno: ho fame, ho sete, etc. Ci attiviamo per cercare così l’oggetto di bisogno, cioè ciò che possa soddisfarlo.

 Quando siamo piccini i nostri bisogni sono all’inizio quelli fondamentali; fame, sonno, sete, accudimento, e per un periodo vengono soddisfatti immediatamente. Crescendo impariamo che non tutti i nostri bisogni possono essere soddisfatti nel momento in cui li percepiamo.

 Crescendo impariamo così a comprendere che esiste un limite, un momento di frustrazione che dobbiamo sopportare e tollerare, dobbiamo metterci insomma l’anima in base dell’assenza del nostro oggetto di bisogno nel qui e ora, di doverlo posticipare. Crescere vuole dire imparare a tollerare quel tempo di attesa, a negoziare tra il mio bisogno e la frustrazione, senza che ciò mi mandi in crisi.

Ma quali sono i nostri bisogni?

Maslow, psicologo americano, ha creato una “ piramide dei bisogni umani” : bisogni fisiologici ( respirare, mangiare, sesso, sonno, bisogni di sicurezza e protezione ( fisica, di occupazione, morale, famigliare, salute, proprietà), bisogno di appartenenza ( amicizia, famiglia, affetto, intimità sessuale), bisogno di stima ( autostima, autocontrollo, realizzazione, rispetto reciproco), infine i bisogni di autorealizzazione ( moralità, creatività, problem solving, accettazione).

 Le dimensioni del bisogno che vedremo nei prossimi giorni saranno quelle di:

  • Autoregolazione e rapporto con il limite
  • Sessuale
  • Di conoscenza
  • Dipendenza/ separazione

 Più avanti vedremo bene come per ogni nostra fase evolutiva affrontiamo bisogni differenti, ma per ora, inziamo a capire di cosa stiamo parlarndo.

 Tu hai mai riflettuto su questi bisogni? Te ne prendi cura?

BISOGNO DI AUTOREGOLAZIONE:

Il fatto di saperci autoregolare prevede in primis la capacità di poterci dare e tollerare un limite; limite che ci porta a imparare a tollerare l’attesa, la frustrazione, la perdita, il contenimento e il controllo.

 Quando siamo piccini, la nostra regolazione è prevalentemente esterna: gli adulti ci aiutano a regolarci e man mano che cresciamo, passiamo ad apprendere delle regole interne che abbiamo appreso proprio dal nostro ambiente di crescita, delle regole che ci fanno sentire al sicuro, protetti.

 Crescendo passeremo in altre fasi e sfumature, durante l’adolescenza iniziamo a sentire e definire, sperimentare i nostri bisogni, a differenziarli da quelli che ci vengono “ dettati” dall’esterno, iniziamo ad opporci alle regole dettate da fuori per provare a sperimentare e spesso si arriva a disregolare… ma lo vedremo meglio quando parleremo di adolescenza.

 Il nostro bisogno di autoregolazione, prende in considerazione soprattutto i nostri bisogni primari, quelli che coinvolgono la cura di noi stessi, delle nostre emozioni, dei nostri impulsi e dell’attesa alla gratificazione.

La nostra capacità di autoregolazione è molto influenzata dallo stile di attaccamento che abbiamo, dal nostro ambiente di crescita, oltre a un fattore di maturazione: il nostro cervello infatti controlla la parte di funzioni esecutive, tramite la corteccia prefrontale, la quale finirà di svilupparsi in prima età adulta, per ciò la nostra capacità di autoregolazione, in precedenza, è molto bisognosa del feedback e guida dell’ambiente.

BISOGNO SESSUALE E DI CONOSCENZA:

La sessualità attraversa diverse fasi di crescita e cambiamento dall’infanzia, all’adolescenza con le modifiche corporee ed età adulta, con una stabilizzazione.

 Essa diventa una spinta emancipativa che mi porta a cercare di investire i miei affetti all’esterno dall’ambiente famigliare, di iniziare ad occuparsi dei miei bisogni e di quelli di un’altra persona con uno scambio, un’equità e una dipendenza relativa dall’altro.

Accanto al bisogno sessuale, parliamo del bisogno di conoscenza.

Siamo esposti all’apprendere, capire che succede e imparare dalla nascita, tramite le relazioni con l’altro. Ciò ci permette di iniziare a ad organizzarci attraverso tre schemi di rappresentazione: come mi vedo io, come vedo gli altri e come vedo il mondo.

Ovvero la mia conoscenza del mondo diventa filtrata dalle esperienze pratiche che riesco a fare, dalla maturazione del pensiero che integra vari aspetti di apprendimento di informazioni per risolvere problemi, da aspetti razionali e irrazionali, da esperienze personali e riportatemi da altri.

 Il bisogno sessuale e quello di conoscenza, diventano quindi le mie due spinte principali verso l’emancipazione, dell’iniziare a prendermi cura dei miei bisogni, dello staccarmi dalle figure di accudimento primaria, dalla mia famiglia, evitando una simbiosi, ma sperimentandomi per definire la mia persona e crescere. Diventando così elementi costituenti del nostro sé

BISOGNO DIPENDENZA-SEPARAZIONE:

Ieri abbiamo visto come il bisogno sessuale e quello di conoscenza siano le principali spinte verso l’emancipazione; proseguiamo oggi a vedere il bisogno di dipendenza e separazione, collegati.

Nel momento in cui cresco, passo appunto da un’iniziale fase di totale dipendenza dall’altro : quando siamo neonati abbiamo bisogno di un totale accudimento e dipendenza, crescendo poi iniziamo ad acquisire le prime autonomie e da lì le prime indipendenze: dai primi passi, l’ingresso nel mondo sociale scolastico, fino all’adolescenza dove inizia una differenziazione.

 In adolescenza il compito è proprio quello di “staccarsi” dalle figure di accudimento, per poter trovare le proprie autonomie e indipendenza dettata dai propri bisogni. Avviene così dentro di noi un forte conflitto: il desiderio di rimanere nel posto sicuro di casa con le figure per noi di riferimento e il separarsi da esse. Quando l’indipendenza terrorizza, rimaniamo bloccati e non riusciamo a crescere, abbiamo paura di non essere “attrezzati” per farlo.

Crescendo il rapporto con i nostri oggetti di bisogno passa tramite:

  • La capacità di cercare l’oggetto di bisogno, riesco ad attivarmi, riesco ad usare positivamente l’aggressività per affermarmi? Riesco a relazionarmi in modo adeguato?
  • Riesco ad affrontare e tollerare le situazioni che possiamo ritrovarci ad affrontare come frustrazione, attesa, perdita, abbandono.
  • Infine il nostro rapporto con l’oggetto di bisogno: riesco ad essere reciproco? Riescono a prendermene cura?

Avviene, con la crescita, un passaggio tra una posizione passiva verso una di attività e maggiormente consapevole che mi porta a percepire i miei bisogni e provare a prendermene cura. Crescendo affrontiamo diverse vicissitudini, paure, eventi significativi esterni che mettono in crisi costantemente le nostre vecchie sicurezze e ci chiedono di poterle modificare con flessibilità, di rimetterci in gioco in base al momento evolutivo che stiamo affrontando, con i nuovi “ compiti” ( ne parleremo meglio).

In tal senso alcuni bisogni possiamo percepirli come pericolosi: come lo viviamo il bisogno come parte di noi o come una cosa estranea? Riusciamo a tollerare il limite di non poter avere un controllo onnipotente sulla realtà interna ed esterna e di non poter avere tutto ciò che si vuole quando si vuole e sempre “perfetto”? come affrontiamo i nostri bisogni? Insomma che rapporto abbiamo con i nostri oggetti di bisogno?

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In terapia come nella vita – 4 TAPPA Viaggio della Terapia https://www.annalisabertolettipsicologa.com/in-terapia-come-nella-vita-4-tappa-viaggio-della-terapia/ https://www.annalisabertolettipsicologa.com/in-terapia-come-nella-vita-4-tappa-viaggio-della-terapia/#respond Sun, 01 Nov 2020 17:36:21 +0000 https://www.annalisabertolettipsicologa.com/?p=2244 L'articolo In terapia come nella vita – 4 TAPPA Viaggio della Terapia proviene da Anna Lisa Bertoletti.

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Oggi inizia la nostra quarta tappa insieme, approfondiremo ancora di più come alcune dinamiche che avvengono in terapia sono le stesse che poi applichiamo nella nostra quotidianità.

Quali sono le paure e le difese che mettiamo in atto? Quali auto-aiuti ognuno è riuscito a darsi fino ad oggi? Che valore ha l’esperienza con il terapeuta?

Partiamo però tenendo ben presente che ognuno di noi è il risultato dell’intreccio di fattori BIO- PSICO-SOCIALI. Ovvero degli aspetti che rimangono innati e ci vengono trasmessi dai nostri genitori, dalle figure di accudimento e riferimento nella prima infanzia ( bio) + i tratti di temperamento innato che ognuno di noi possiede ( psico) + come il contesto risponde a tutte queste nostre caratteristiche, se diventa un ambiente protettivo o meno ( sociale).

Facciamo un esempio: un bimbo nasce da genitori ansiosi, sia a livello chimico di neurotrasmettitori che di atteggiamenti appresi, il bambino apprenderà che il mondo è un posto potenzialmente pericoloso, dove meglio non sperimentare molto,; ciò porterà a un possibile temperamento più vulnerabile. Se l’ambiente in cui cresce è solamente ansiogeno, diventerà un soggetto con maggiori probabilità di dimostrare e provare ansia.

Ovviamente ci sono poi dei fattori di rischio, ovvero avvenimenti che possono aumentare o diminuire la probabilità che si sviluppi o si presenti una problematica.

Tenere a mente queste nostre diverse dimensioni, ci permette di comprendere meglio le difficoltà che proviamo, ricordarci che non sono solo aspetti di noi stessi, della nostra genetica, ma anche del contesto in cui siamo inseriti, che dobbiamo ricordarci di considerare, e notare che impatto hanno su di noi.

BISOGNO SPECIFICO: DI COSA HO PAURA E COME MI DIFENDO?

Parto parlandovi di BISOGNO SPECIFICO, ovvero l’insieme delle strategie, comportamenti, che applichiamo per difenderci da una paura che proviamo; queste strategie spesso diventano disadattive.  Ogni momento della nostra vita è accompagnato da bisogni differenti, da declinazioni differenti, da paure che si modificano, e con loro i bisogni specifici che possiamo presentare.

Me lo immagino un po’ come l’immagine di un muro, una corazza, che piano piano costruiamo attorno a noi, di cui stringiamo le maglie; ma a volte i muri diventano così alti, e le maglie così strette, da farci mancare il fiato. Quindi quella modalità di difesa arriva a farci sentire male, a volte a portarci un sintomo.

Il sintomo, oltre ad essere qualcosa che inevitabilmente ci porta malessere, a volte facciamo fatica a riconoscerlo per quello che è: un campanello d’allarme. Ci aiuta a vedere che quella nostra muratura di difesa, è diventata qualcosa che ci fa stare peggio, non ci aiuta più a proteggerci dalla paura che sentivamo, ma è stato il tentativo che abbiamo messo in atto per farvi fronte, che magari per tanti anni ha anche funzionato molto bene, ma che ad oggi, in una nuova fase di vita, ci fa stretto, ci fa mancare l’aria.

 Possiamo non provare paura? Abbiamo già detto, per fortuna no, la paura ci accompagna e ci protegge, ma dobbiamo capire da dove nasce, cosa vi associamo di negativo su noi stessi a quella paura? Dobbiamo riconoscerti che abbiamo fatto il lavoro migliore che eravamo in grado di fare in quel momento, di provare ad usare le difese migliori che pensavamo poter attuare, abbiamo fatto del nostro meglio. Ora vediamo cosa possiamo migliorare.

 Tutto ciò ci aiuterà a capire anche come ci rapportiamo ai nostri bisogni, sappiamo riconoscerli? Sappiamo prendercene cura? Torneremo su questo tema mooolto importante.

A volte bisogno specifico coincide proprio con le nostre difese, con i nostri tentativi di autoterapia di cui parleremo nel prossimo paragrafo. 

AUTOTERAPIA E RISORSE PERSONALI:

“Accettare e capire che il sintomo è la forma di autoterapia per il paziente è il primo passo.

Aiutarlo a trovare una via di difesa più funzionale il secondo.

A questo punto è possibile impostare il cambiamento, non prescindendo però dalla realtà del limite” – Zapparoli

Questo ciò che la scuola di specializzazione mi ha insegnato, ricordato, tramandato.

Cos’è l’autoterapia quindi?  sono tutti i modi che, chi ho di fronte, ha trovato fino a quel momento per far fronte alle difficoltà, ai momenti di crisi, agli episodi più traumatici della sua vita, ma che ad oggi non porta più benefici.

 La terapia aiuta a trasformare quindi l’autoterapia da disfunzionale a nuovamente funzionale, tenendo sempre presente le differenze di ognuno, il proprio contesto, come ci siamo detti lunedì, il contesto bio-psico-sociale.

 La terapia ci insegna a guardare dentro la cassetta degli attrezzi di ogni persona che arriva, vedere cosa tenere, cosa modificare, cosa non ci serve perché ci “pesa” ma non ci torna utile; inoltre permette al paziente, oltre che di riordinare i propri strumenti, prenderne coscienza, sperimentarli, di apprenderne di nuovi con la/lo psicoterapeuta. 

Tutti questi nuovi e vecchi strumenti, compresi, fatti propri, diventano la cassetta degli attrezzi con cui affrontare la quotidianità, diventano le risorse di cui riusciamo a prendere coscienza, accettando che abbiamo e avremo sempre dei limiti e di fronte a quelli possiamo chiedere un aiuto.

ESPERIENZA EMOTIVO-CORRETTIVA:

Un’altra delle cose più importanti che avvengono in terapia è l’ESPERIENZA EMOTIVO-CORRETTIVA : ovvero il fatto che il paziente, possa sperimentare un nuovo tipo di modalità nello stare in relazione, nel poter comprendere e gestire le sue emozioni e prendere consapevolezza della differenza tra ora, il presente, e allora, il passato.

 La relazione con la/ il proprio terapeuta, diventa una nuova sperimentazione, un’occasione per sentirsi accettati, non giudicati, compresi, normalizzati, invitati ad osservarsi, all’interno di un luogo sicuro, di una relazione in cui non abbiamo paura del giudizio, di poter ferire o essere feriti.

Spesso nelle storie che ascolto, le persone che ho di fronte non hanno avuto la possibilità di fare esperienze affettive positive, quindi la stanza della terapia, la relazione, diventa occasione per sperimentare l’accudimento, la valorizzazione, la normalizzazione, l’accoglienza, il limite, un aiuto ad autoregolarsi e contenersi, ma anche ad esprimersi.

 Si arriva così a vedere quali emozioni abbiamo eliminato, non vogliamo ascoltare, quali rendiamo distruttive per noi, per le nostre relazioni, impariamo a vedere quante volte adottiamo una modalità compiacente e di “ infermierin*”.

 Tante volte proprio la terapia diventa scenario dove viene messa in atto la nostra difficoltà con alcune emozioni, molto spesso con la rabbia: non riusciamo ad affermarci e diventiamo compiacenti per tutto e in tutto; oppure arriviamo a provocare, diventare aggressivi e provocatori verbalmente per vedere se l’altro ci terrà comunque vicino, ci accetterà, sopporterà.

 La relazione che si viene qui a creare, diventa un mix tra la funziona materne e paterna, che la / lo psicoterapeuta mette in gioco con chi ha di fronte, in base al suo bisogno: di essere rassicurato, di comprensione, costanza, sostegno, limite, spinta ad emanciparsi, di prendere coscienza dei propri bisogni e provare ad affrontare le proprie paure.

 Nella relazione impariamo che possiamo modificare le nostre corazze, possiamo sperimentarsi in modo differenze rispetto le occasioni passate, possiamo ricevere risposte differenti, possiamo sentirci differenti.

TEMPO E SILENZIO IN TERAPIA:

“ Lascia tempo…. tollera il silenzio”

Questa frase me la son sentita dire o comunicare a gesti, con una mano che mi toccava il braccio o mi faceva segno di aspettare… Il mio tutor mi ha sempre insegnato l’importanza del silenzio, di lasciare il tempo.

Questa del tempo non è una questione facile, durante le supervisioni a scuola di specializzazione, spesso mi portavano a ragionare sul perché di quell intervento, in quel preciso momento; perché aveva funzionato o perché non era stato colto dal paziente.

Il timing… saper aspettare e intervenire al momento giusto, saper tollerare che se anche pensiamo di aver compreso delle cose, chi è di fronte a noi ha magari più bisogno di tempo per poterle guardare.

Quando sei all’inizio hai l’ansia da prestazione, vuoi aiutare, vuoi sentirti utile, ti fai “ tirare dentro” dalle sollecitazioni di chi è di fronte a te e non sta bene e ti dice “ ma io sto ancora male”. Così ti iper attivi, e li rischi di far delle scemenze.

Tollerare che per i cambiamenti ci vuole tempo è la prima cosa che si impara in terapia, con calma. Ed è fondamentale che ne comprendiamo in primis L importanza noi psy. È come prendersi cura di un giardino, ci vuole tempo, pazienza, cura, amore, così il nostro giardino ( interiore in questo caso), potrà trasformarsi e mostrare fiori bellissimi.

A volte in questo viaggio si sta in silenzio, in due. È un silenzio in realtà carico di parole, di significati, di perché. È difficile tollerare il silenzio, non ne siamo abituati, a volte ci spaventa, abbiamo paura di sentirci i nostri pensieri più profondi.

La terapia accompagna anche a dar valore a questo. Insieme, in silenzio, con però mille emozioni, sensazioni, pensieri che girano nell’aria. A volte il silenzio è il dono più bello che possiamo regalare, che dice: sono qui, con te, ti ho ascoltato, ho percepito la tua fatica, sto qui con te in tutto ciò.

In silenzio ammiriamo poi fiori bellissimi del nostro giardino, diamoci il tempo di prendercene cura.

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Compagni di viaggio: quali dinamiche? – 3 TAPPA Viaggio della Terapia https://www.annalisabertolettipsicologa.com/compagni-di-viaggio-quali-dinamiche-3-tappa-viaggio-della-terapia/ https://www.annalisabertolettipsicologa.com/compagni-di-viaggio-quali-dinamiche-3-tappa-viaggio-della-terapia/#respond Sun, 01 Nov 2020 17:25:57 +0000 https://www.annalisabertolettipsicologa.com/?p=2235 L'articolo Compagni di viaggio: quali dinamiche? – 3 TAPPA Viaggio della Terapia proviene da Anna Lisa Bertoletti.

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Quando si parte per un viaggio le dinamiche che si vengono a creare con i nostri compagni di viaggio sono sempre molto diverse, in base a dove siamo, in quale momento stiamo affrontando questo viaggio e con chi stiamo viaggiando.

Oggi iniziamo una nuova tappa insieme, abbiamo visto con chi partiamo, ma cosa succede insieme durante il viaggio, quali dinamiche si vengono a creare?

Cosa cerchi nella persona che deve fare il viaggio con te? Secondo me ci sono aspetti molto importanti: la naturalezza che si viene a creare, l’alleanza, la relazione terapeutica con il suo transfert e controtransfert, la chiarezza sul segreto professionale, le resistenze al trattamento.

 

NATURALEZZA

Noi psy lavoriamo con noi stessi, con la nostra persona, unendo poi la nostra professione, quello che apprendimento negli anni di studio, nella pratica clinica, nel confronto con colleghi con intervisioni e supervisioni.

 La cosa che risulta spesso più difficile è comprendere come portare NATURALEZZA nel setting, nella relazione con il paziente: come posso unire il mio modo di fare, il mio essere, con quelle che sono le famose regole del setting?  Così iniziamo a sperimentare, siamo inizialmente molto rigidi impostati, oppure troppo flessibli e aperti, ma gradualmente troviamo la giusta misura.

 La cosa fondamentale è tenere a mente che la relazione sarà l’elemento più importante in una terapia di successo, parleremo meglio di alleanza e degli elementi che la facilitano.

 La scuola di specializzazione mi ha insegnato che alla base della naturalezza c’è la capacità di stare nel qui e ora, rispettare il setting, ma anche il nostro modo di essere.

I miei pazienti hanno imparato a comprendere quanto io sia a volte impacciata: giocherello con la penna che poi mi cade a terra e si sorride insieme, sanno quanto io patisca il caldo o il freddo e la relativa gestione di finestre aperte e condizionatori accesi, imparano a conoscere la mia ironia, la mia dolcezza, ma anche il mio essere a volte pungente a fin di bene.

Hanno imparato ad apprezzarmi nei miei giorni eleganti e nelle mie giornate sportive in Vans.

Dietro la naturalezza c’è l’importanza di passare un’umanità che sta dietro la mia persona, un’umanità che posso mostrare in terapia, ovviamente ci sono molti aspetti che non possono trasparire della mia vita privata, delle mie possibili preoccupazioni, arrabbiature etc, aspetti , ma senza risultare quella sempre perfetta.

Quell’umanità, quel mio essere impacciata e far nascere un sorriso,  permette al paziente di “ rilassarsi”, di vedermi come una persona che lo può aiutare nel percorso, a conoscersi meglio, a far propri degli strumenti, ma sempre “ umana”.

 In quanto umana quindi con dei limiti, e quanto sono protettivi tali limiti se li riconosciamo e integriamo? Quante volte le nostre difficoltà partono proprio dal non accettare di avere dei limiti, ma altrettante risorse?

ALLEANZA TERAPEUTICA

L’alleanza terapeutica è l’elemento più importante per un ‘efficace psicoterapia.

Come in ogni relazioni possono esserci momenti in cui si perde l’alleanza, vi è una rottura, ed è fondamentale accorgersi, parlarne insieme per poter riparare e ripartire. 

In ogni psicoterapia vi deve essere un passo indietro, un momento di regressione, di stallo, di crisi; un momento in cui ci sembra di andare da nessuna parte, ci sembra di esser tornati all’inizio, di stare di nuovo male. Allora ci si ferma, se ne parla insieme, si osserva cosa succede e perché.

 Ogni cambiamento prevede la modifica di una situazione precedente: avete mai visto cambiare qualcosa mantenendo tutto immutato? Lo stesso succede dentro di noi, per poter cambiare, serve tempo, servono errori, serve prenderne consapevolezza con la mente e con il cuore, serve poter fare dei passi indietro perché sono quelli che ci permetteranno di poterne rifare in avanti.

 A volte ci si sente arrabbiati con la/ il proprix psy: non capisce, mi fa stare peggio, mi ha detto quella cosa che…., non capisce che stavo bene ed ora sto di nuovo male.

 Spesso il fermarsi è sinonimo di paura di quel cambiamento che vediamo, che abbiamo li davanti, che vorremmo tanto, che ora riusciamo a cogliere, comprendere, ma che vorrebbe dire attuare delle modifiche, cambiare noi, cambiare parti della nostra vita. Ci spaventa? Si. Quindi torniamo indietro.

Ma il/ la nostra psy è proprio li per aiutarci e proseguire insieme.

Ogni situazione è a sé, quindi bisogna poi capire insieme cosa succede, perché sentiamo questa difficoltà ed emozioni e bisogna PARLARNE, condividerle con la/il nostrx psicoterapeuta per poter comprendere meglio cosa scatta in noi, che sarà solo una copia di ciò che spesso succede nelle nostre relazioni al di fuori di quella stanza.

 Ovviamente come in ogni relazione, in questo caso si è in due:

  • il terapeuta che deve portare tutte la sua competenza, sensibilità, accoglienza della sofferenza del paziente senza lasciarsi travolgere, ma comprendere  vari aspetti che si vengono a creare, mantenere un atteggiamento sempre curioso, flessibile, sempre attento e mai superficiale. Oltre alla naturalezza di cui parlavamo ieri. La capacità di saper ascoltare, di sapere cosa è essenziale e cosa diventa superfluo nel racconto del paziente, ci aiuta a capire se stiamo andando nella stessa direzione o ci stiamo perdendo, allontanando.
  • Il paziente che deve avere una buona capacità relazionale, una buona motivazione, flessibilità , desiderio di modificare la situazione attuale con un obiettivo realistico che si prova a definire insieme, la libertà di poter rimandare alx proprix psy pensieri, idee momenti di difficoltà.

 In psicoterapia vi è un concetto di affidamento, accoglienza, di squadra che si viene a creare per poter sentirci meglio, togliendoci però dalla posizione di voler la soluzione immediata, magica e il minimo sforzo. No, vi ho già raccontato che la terapia è anche fatica.

Ciò che spesso mi piace mantenere è l’ironia, non sempre e non con tutti, ma usare l’ironia ci aiuta a rendere a volte più leggera la nostra ora insieme, ci aiuta a creare un’alleanza, una naturalezza, ma nel creare una raccolta di vita che non diventi un interrogatorio inquisitorio insomma!

TRANSFERT & CONTROTRANSFERT

transfert (o traslazione) è un meccanismo mentale nel quale un individuo tende a spostare schemi di sentimenti e pensieri relativi ad una relazione significativa della nostra infanzia, su una persona coinvolta in una relazione interpersonale attuale in modo del tutto inconscio.  Questo succede in tutte le relazioni interpersonali. Può essere positivo, con affetto, stima, amore oppure negativo con emozioni di invidia, gelosia, competizione, aggressività.

Il controtransfert è la reazione emotiva al transfert del paziente, da parte dello psicoterapeuta, ed è spesso uno strumento fondamentale in terapia. Diventa argomento di colloquio con il paziente, molto importante e fonte di ricchezza e crescita, in quanto il terapeuta può mostrare come alcune parole, reazioni, emozioni espresse o trattenute, vengano percepite dal terapeuta, si sentono e si rimanda al paziente cosa si sente, cosa si sta creando nella relazione.

 

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Programmare il viaggio, sapere quali aspetti dobbiamo considerare è fondamentale non trovi?

Lo stesso vale per la nostra terapia, quindi vediamo insieme quali fattori entrano in gioco.

SETTING TERAPEUTICO:

 Quante volte hai sentito parlare di  SETTING (terapeutico)? Quante volte nella mente è apparsa l’immagine di un lettino e di unx psicoterapeuta sedutx alle spalle? Ma in realtà è un concetto ben più ampio, possiamo riassumerlo come la cornice che racchiude tutto il lavoro clinico e tutela per paziente e terapeuta.

Possiamo definirle come le “ regole” della terapia: durata della seduta e cadenza, si dà del Tu o del Lei, cosa succede se si va in vacanza?cosa succede se salto una seduta?come funziona se ho bisogno di contattare il/la mix psy in settimana? uso del cellulare in seduta, pagamenti, chiusura/ interruzione della terapia.

Non posso riassumere in un unico post quali siano, in quanto non esistono regole UNIVERSALI. Ogni terapeuta ha le sue ed ogni paziente può avere bisogno di “ accortezze” differenti.

In ogni percorso vengono però condivise e consegnato un modulo di informativa privacy e trattamento dati in cui è compreso il dettaglio della modalità terapeutica.

Il setting in stanza di terapia, invece, cambia molto in base all’approccio del terapeuta: chi usa poltrone, chi alla scrivania, chi il lettino, chi prevede un vetro bidirezionale per permettere al/alla seconda terapeuta di osservare.

RACCOLTA ANAMNESTICA

La raccolta anamnestica è la raccolta della storia clinica del paziente.

Può essere svolta in modo strutturato: ovvero con delle domande che guidano il paziente, oppure per associazione, cioè lasciando liberamente parlare il paziente su alcuni argomenti.

 La modalità che di solito adotto, varia molto in base al tipo di paziente che ho di fronte, a quanta difficoltà presenta nell’aprirsi o quando abbia così tanto da raccontare che necessita “ una guida”.

 Con gli adulti e gli adolescenti mi avvalgo spesso della linea del tempo, ovvero uno strumento che indaga i ricordi positivi e negativi del paziente in tutta la sua vita.

Insieme andiamo ad indagare meglio le relazioni attuali e quelle passate, alcuni episodi di malessere e difficoltà precedenti, come è riuscitx a sorpassare queste difficoltà, il suo andamento scolastico e lavorativo, come sono andate le varie fasi delle tappe evolutive.

 Per i bimbi è differente, l’anamnesi viene fatta con i genitori e si indaga la relazione di coppia, le relazioni famigliari, la gravidanza, le varie tappe nella crescita e le difficoltà attuali. Ciò viene fatto anche per gli adolescenti in primo colloquio o successivamente, ma avendo un confronto con i genitori che sanno riprendere le prime tappe di sviluppo.

TEST PSICOLOGICI

Test, possono essere davvero tantissimi, di vario tipo, diversi per i vari approcci di psicoterapia, per la fase di ciclo di vita del paziente, per problematica che porta.

Rimane che i test sono una sorta di “ fotografia” del momento attuale del paziente,  offrono, in un tempo più breve, di comprendere risorse e punti di difficoltà della persona che è di fronte a me.

I test da soli, difficilmente permettono una diagnosi psicologica, ma sono uno strumento a supporto per comprendere meglio le ipotesi diagnostiche emerse dai colloquio.

 

Non vi illustrerò quali utilizzo e a cosa servono, (anche perché poi lo so che andate su google a cercare spiegazioni e significati, ma diffidate sempre! ).

Vi lascio però una breve carrellata dei tipi di test che spesso vengono utilizzati in psicodiagnostica.

I test sono un supporto per comprendere meglio il paziente, il suo funzionamento e l’eventuale ipotesi diagnostica fatta tramite il colloquio, non sono sempre somministrati e non sempre utili nella relazione terapeutica e nel percorso del paziente.

FOCUS ED OBIETTIVO TERAPEUTICO

La fase di consultazione, con l’eventuale somministrazione di test, portano all’individuazione del focus della terapia.

 Il focus è l’obiettivo, l’area focale su cui andremo a lavorare che parte dal bisogno specifico del nostro paziente, andremo a vedere quali modalità, paure, emozioni non ascoltate, sono diventata disfunzionali e come poter tornare ad un equilibrio. 

Ogni persona ha le sue modalità di difesa, che portano ad una serie di comportamenti, che possiamo riassumere come l’autoterapia che il paziente ha saputo attuare finoa. Quel momento per rispondere alle sue paure.

Spesso chi ho di fronte, inizia a guardare il mondo con le sue lenti, con i suoi occhiali, e il suo modo di osservare e leggere ciò che succede nel suo mondo; il focus ci aiuta a comprendere quale “ deformazione” a volte assume questa visione, che ci porta poi a sentirci peggio.

 Quello che ci tengo sempre a rimandare ai miei pazienti è che dobbiamo concederci tempo: tempo di comprendere il nostro modo di funzionare, le nostre difese e quando queste sono diventate disfunzionali e invece di proteggerci ci fanno del maleà esempio della corazza.

Quando si parla insieme del focus: restituzione test, bisogno di difendersi e come lo fa, sotto a ciò c’è una paura che andremo ad indagare, appartiene al passato ma ci lavoriamo nel qui e ora.

 

E’ importante sapere quando “mettere e togliere gli occhiali”: saper utilizzare sia le
proprie conoscenze teorico-cliniche che la diagnosi relazionale, considerando la
considerare la propria partecipazione e soggettività
E’ importante ammettere dentro di noi
propria partecipazione e soggettività al processo di raccolta ed elaborazione dei dati”

 

Professor Giovanni Carlo Zapparoli

 

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