In quale momento stiamo viaggiando? – 6 TAPPA Viaggio della Terapia

da | 13-11-2020

IN QUALE FASE DEL CICLO DI VITA SIAMO?

Eccoci alla nostra ultima tappa, che ci porta a riflettere in quale momento stiamo affrontando il viaggio, in quale fase del mio ciclo di vita arrivo nel viaggio della terapia?

Il nostro sviluppo non si identifica con il tempo, ma avviene nel tempo, e nel tempo si modificano una serie di aspetti per noi fondamentali per poter crescere. A ciò, bisogno tenere conto tutti gli aspetti famigliari, sociali, biologici che influenzano il nostro sviluppo, in base al momento in cui avvengono, avranno un impatto differente su di noi e sulla nostra psiche.

Le teorie dello sviluppo in psicologia sono tante e differenti, molto dettagliate, ma per farla “ breve” il nostro sviluppo consiste in una serie di compiti evolutivi di quel determinato periodo, che ci portano a dover affrontare continua riorganizzazioni interne ed esterne, affrontare nuovi compiti, aggiornare i nostri bisogni.

Quali sono le fasi del ciclo di vita?

  • Infanzia: in questa fase poniamo le basi del nostro attaccamento, della dipendenza con le figure di accudimento, della nostra sicurezza.
  • Adolescenza: un periodo di passaggio, dove si inizia a differenziarsi dall’ambiente famigliare, non si è più bambini ma non ci si sente ancora adulti, è quindi una fase di discontinuità, dove si vive solo il presente, dove vi è un forte conflitto tra dipendenza e autonomia.
  • Tarda adolescenza: si procede con la propria individuazione, con la separazione dalle figure di riferimento, ci si apre al nuovo, si attua il distacco.
  • Età adulta: si passa ad una formazione dell’identità personale e sociale, con un timore nella stabilizzazione, nel gestire e dosare i limiti.
  • Età adulta matura: tutte le energie vengono concentrate per le nostre scelte relazionali, affettive, professionali e famigliari. Si passa a cercare di integrare un sé ideale con il sé reale.
  • Età media: siamo un po’ al giro di boa, gli anni di fronte a noi ci sembrano meno di quelli passati, si inizia a rivalutare la propria esistenza, si deve trovare un nuovo equilibrio tra illusione e delusione, far fronte ai propri fallimenti veri o presunti e far i conti con il limite più grande: il tempo.
  • Terza età: si prende consapevolezza delle realizzazioni e acquisizioni e dei propri limiti, si inizia a riflettere su ciò che lascio di me, a fare i conti con la paura della morte e trovare una difesa funzionale ad essa, una sorta di illusione di eterno.

Ovviamente, stiamo ragionando in termini SUPER riassuntivi, ma considerare in quale momento ci troviamo ci pone davanti al capire quali bisogno abbiamo, diversi da prima e differenti da domani, a fare i conti se ci sentiamo “ bloccati” in una fase precedente e perché, cosa non ci sta permettendo di proseguire il nostro viaggio? Cosa ci spaventa?

 

STILI DI ATTACCAMENTO:

Proseguiamo nel nostro viaggio della terapia… proseguiamo a ragionare nell’ottica di ciclo di vita. Parliamo di ATTACCAMENTO.

Dalla definizione di Bowlby ” ogni forma di comportamento che appare in una persona che riesce ad ottenere o a mantenere la vicinanza a un individuo preferito” . 

 Nel neonato, la relazione di cura, attenzione, fiducia e risposta ai propri bisogni, da parte di una figura di riferimento, solitamente la mamma, ma non per forza può essere solo lei, ma anche il papà o qualsiasi altra persona che svolga tale funzione. 

In base al tipo di atteggiamento del genitore il bambino riuscirà ad instaurare un attaccamento più o meno sicuro: 

  • Stile sicuro
  • Stile insicuro-evitante
  • Stile insicuro-ambivalente
  • Stile disorganizzato

Perché è così importante l’attaccamento? Perché ci permette di definire i nostri modelli operativi interni. Ovvero glischemi che permettono di leggere le relazioni, le interazioni con il mondo e poter scegliere le reazioni e comportamenti tra vari possibili, gestendo i momenti di difficoltà, di paura o insicurezza. Servono quindi a creare una BASE SICURA perché il bambino impari a sentire di poter fare affidamento e chiedere aiuto alla figura di riferimento e durante la crescita, sposare tale sicurezza all’interno di sé e poter affrontare le varie fasi di crescita in una media sicurezza e sperimentazione. Ciò viene interiorizzato e rimane anche nell’età adulta, nel sentirsi mediamente capaci e sicuri nelle proprie capacità e poter relazionarsi con gli altri e sperimentare i nuovi compiti delle varie fasi evolutive di crescita.

( Se volete approfondire trovate l’articolo completo sull’attaccamento).

ATTACCAMENTO DA ADULTI:

Venerdì abbiamo visto i tipi di attaccamento che durante l’infanzia possiamo strutturare con le nostre figure di accudimento.

Come ciò diventano schemi interiorizzati anche per le nostre relazioni da adulti.

 Mary Main, ideò l’intervista per gli adulti l’Adult Attacchement Interview, trovando gli stili di attaccamento che abbiamo:

  • Sicuro: apertura e importanza per le relazioni, l’immagine di sé e dell’altro è positiva, stabilendo una dipendenza relativa sana.
  • Distanziato: c’è una difficoltà a recuperare i ricordi del proprio passato, non viene data molta importanza ai problemi e alle relazioni, viste con atteggiamento difensivo. Le relazioni sono spesso su una base ansiosa, preoccupata. Si tende a vedersi sempre negativamente e vedere l’altro sempre positivamente, spesso portando ad un’eccessiva dipendenza vs l’altro.
  • Preoccupato: i ricordi diventano ambivalenti, spesso conflittuali. La propria immagine è positiva, ma quella dell’altro no, non si riesce a mantenere un atteggiamento di fiducia vs l’altro, si tende a una completa indipendenza, non ho bisogno di nessuno.
  • Non risolto: spesso con episodi traumatici o di abuso. L’immagine di sé e l’altro sono negative, non vi è fiducia per nessuno, nemmeno in se stessi, non c’è sicurezza; si vive nel timore di una nuova ferita. 
RAPPRESENTAZIONI GENITORIALI:

Abbiamo visto come i nostri schemi interiorizzati pongono le basi sulle nostre relazioni da adulti, allo stesso tempo diventeranno le fondamenta del ruolo genitori: che idea proiettiamo sui nostri figli in base alle nostre rappresentazioni interne?

Così alcuni aspetti della relazione genitore-bambino vissuti dal genitore stesso durante la sua infanzia, tendono a tornare nella relazione con il/la propri* figli*. Quali tipo di rappresentazioni possono esserci?

  • Integrata: considera gli aspetti positivi e negativi delle immagini significative del passato. Le immagini di sé bambini e dei genitori sono positive, ma senza negare gli aspetti negativi, di rigidità, etc .In tal modo permettiamo ai nostri figli di non essere “ caricati” delle nostre ferite infantili e delle immagini dei propri genitori, ma si riesce a vedere ed accogliere il/la propri* figli* per le sue caratteristiche reali, con un’attribuzione empatica.
  • Positiva: continua a prevalere gli affetti positivi, ma con una tendenza ad un’idealizzazione dell’immagine della propria infanzia.
  • Ambivalente: gli aspetti positivi e negativi continuano ad esser considerati, ma con uno squilibrio vs uno dei due estremi positivo o negativo. Se abbiamo avuto un genitore controllante, troppo presente, spesso non ci si è concessi una ribellione, una fase di aggressività, ma si è cercato di fare i/le brav* “e crescendo tendiamo ad identificarci con quella modalità genitoriale. Altre volte abbiamo vissuto una situazione di solitudine/ di abbandono per l’assenza dei genitori. Il rischio è spostare sui propri bambini l’immagine del bambino amato che avremmo voluto essere e del genitore super presente che avremmo voluto accanto. Ciò porta i figli a sentire un conflitto: una colpa e paura nel sentire la spinta verso l’esterno, verso l’indipendenza, si difende spesso con sintomi fobici. Ciò crea però un circolo vizioso: nostro figlio ha timoreà sintomi fobicià paura di aprirsi all’esterno senza propri genitori à io genitore vivo il senso di colpa del devo essere presente e non posso “ abbandonarlo” ( dove sotto ci lavora il pensiero/ sensazione del – come lo sono stat* io dai miei genitori) . Il senso di colpa vs i figli, diventa paura di non dare abbastanza, di non esserci e si rischia di diventare troppo permissivi, indulgenti e non dare limiti, colludendo con le paure proprie e dei propri bimbi.
  • Troppo positive: idealizzazione delle figure genitoriali, non viene ricordato nessun aspetto negativo. Questi genitori rischiano di vivere nel senso di colpa per l’aggressività provata vs i propri genitori vissuti come distanti, depressi, o con cui si era un peso e scontano la colpa facendosi tiranneggiare dal*propri*figli*, si colloca sul bambino l’immagine di un “bambino difficile”, immagine che il bambino rischia di personificare.
  • Negative: Sul bambino vengono poste immagini del passato dei genitori molto cariche di aggressività e odio, deformano in modo + o – globale l’immagine stessa del bambino. il bambino rischia di sintonizzarsi su questo ruolo con comportamenti aggressivi oppositori o gravemente inibitori .
Annalisa Bertoletti

Annalisa Bertoletti

Psicologa | Psicoterapeuta

Sono psicologa/psicoterapeuta.

Credo nel potere delle emozioni e nell’importanza di essere ascoltati in modo empatico, credo nella resilienza che ogni persona che si siede davanti a me porta, con le sue esperienze di vita.

Accompagno grandi/piccini ad affrontare momenti di difficoltà. Ricevo nei miei studi di Sedriano, Nerviano e quando possibile tramite Skype.

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